Root. La voce del padrone

Marchesa de Gattis: Chiara Morelli
Militanza Boschiva Rivoluzionaria: Alex Isabelle
Procione vagabondo: Andrea Benassi
Dinastia degli uccelli: Laura Beltrami

La liberazione del bosco di Root. Una favola della buonanotte per grandi e piccini.

Era il 25 aprile nel bosco di Root. Come tante cose che prolificano in primavera, anche la macchina capitalista imbastita della marchesa De Gattis si era espansa su tutto il territorio, dopo aver strappato il potere all’antica aristocrazia degli uccelli che governava il bosco da secoli. 

Ma mentre i gatti si apprestavano ad adoperarsi per la gentrificazione del bosco, occhi attenti li osservavano. Una moltitudine di sguardi veloci e scintillanti, dagli altrettanto brillanti ideali, si chiedeva quando sarebbe venuto finalmente il momento per il popolo di insorgere.

Allo stesso tempo, ben altri occhi, rapaci e guerrieri, sprezzanti della mondana apertura al commercio che caratterizzava questi borghesi conquistatori, meditavano nell’ombra, ansiosi di ripristinare gli antichi fasti e promulgare gli editti con i quali, in un tempo non lontano, atterrivano il bosco.

Infine, un solo paio di occhi profondi e cerchiati, gli occhi disillusi di chi aveva già ricevuto alla nascita una promessa di sofferenza, osservava questi tumulti in modo apparentemente distaccato.

Quest’ultimo paio di occhi apparteneva, come il lettore affezionato avrà già inteso, ad un procione. Ed i procioni sono esseri curiosi, vagabondi e un pò ladri. Questo procione era tutte e tre queste cose assieme. Ed è per questo che, venendosi casualmente a trovare in una radura in cui si stagliava una rovina abbandonata, egli iniziò ad esplorarla. Non ne ricavò molto, giusto qualche sacco di iuta utile per fare qualche rammendo alla sua palandrana sdrucita, raccolti i quali si immerse nuovamente nella foresta. 

Come insegna la vita reale, oltre che la narrativa fiabesca, i potenti trovano sempre il modo di ricavare profitto dalle azioni degli straccioni. Così fu, anche in questo caso. Pochi giorni dopo giunsero infatti, nella suddetta radura, i soldati della marchesa de Gattis, i quali, rendendosi conto che lo spiazzo esplorato dal procione era ora libero da detriti e macerie, ne aggiornarono l’indice di edificabilità. Al posto della rovina sorse immediatamente una segheria, dove vennero messe a lavorare le volpi che vivevano nel radore.

In realtà, di segherie se ne svilupparono diverse, in diverse parti del bosco. Ed oltre ad esse sorsero fabbriche e centri di reclutamento: difatti ogni giorno nuovi indigeni si univano alla causa dei gatti. Alcuni lo facevano per dare un futuro migliore alle proprie famiglie, altri perché alimentati dall’odio verso i precedenti regnanti, altri ancora perché pensavano fosse un affare. Tuttavia, nessuno lo faceva perché spinto da un ideale più alto della mera esistenza terrena.

Il senso dell’onore della dinastia alata volava infatti ben più in alto di quello dei gatti. Questi uccelli erano nobili, votati alle arti della cavalleria fin da pulcini, maturati nel disprezzo verso qualsiasi razza che non fosse la loro. La loro formalità, unita alla maniacale attenzione verso le regole e gli incarichi pubblici, era stata contemporaneamente ragione della loro antica ascesa e della loro più recente caduta. Il comandante Aquila, il carismatico leader in carica all’epoca, era riuscito, con i suoi trascinanti discorsi pubblici, a reclutare abbastanza uccelli-soldato da iniziare la riconquista del bosco e rivendicare il diritto di nascita del proprio popolo: il comando del regno. Era pronto.

Mentre ad est si svolgeva la prima battaglia e i felini perivano sotto gli artigli dell’alata stirpe, al centro del bosco, nel suo cuore più remoto e pulsante, proprio attorno a quell'infelice radura popolata da volpi ridotte ai lavori forzati nella segheria della Marchesa, un gran fermento scuoteva le fronde degli alberi. La plebe aveva assistito alla controffensiva e ne era rimasta folgorata. Una radura alla volta, infatti, gli uccelli stavano tornando alla ribalta e così anche quel paesino, in un giorno, era stato liberato. Tuttavia, con gli uccelli ritornò anche il giogo della vecchia aristocrazia. E fu allora che la plebe cominciò a pensare ad un modo alternativo per gestire la "cosa pubblica".

Scoppiò all'improvviso la rivolta. Il grosso contingente di truppe aviarie fu completamente sterminato. Nacque inoltre, in questo avamposto, la prima base clandestina ribelle. Da qui si irradiò nel resto della foresta la simpatizzazione per gli ideali dell'autogestione. Piano piano tali basi divennero sempre più organizzate e gli obiettivi di ecologia, libertà, potere del popolo si fecero sempre più definiti nel cuore dei dissidenti. Naque quindi ufficialmente la Militanza Boschiva Rivoluzionaria, che pochi giorni dopo potè contare sull'istituzione di una seconda base, stavolta istituita in un vicino villaggio di topi, a loro volta oppressi dalla Marchesa.

Pur non comprendendo le ostilità del popolo dei boschi nei confronti di un progresso di cui tutti avrebbero beneficiato, quest'ultima sapeva che doveva agire in fretta. Oltre ai problemi causati dall’alleanza dei boschi, anche gli uccelli stavano guadagnando terreno. Avevano vinto due battaglie a nord-est e stavano nidificando. Era diventato necessario istituire un piano di reclutamento forzato. 

Il procione osservava tutto questo da lontano. Ogni tanto passava dall’avamposto governato dall’alleanza dei boschi. I compagni dell’alleanza gli offrivano un pasto caldo e un giaciglio. A tavola, la sera, gli parlavano dell’importanza di preservare il bosco dall’inquinamento delle segherie, di una famiglia che aveva perso la casa che aveva costruito sull’albero, delle costruzioni che stavano per sorgere. Egli però, non si pronunciava mai in merito. Alcuni pensavano anche che, in realtà, fosse dalla parte dei padroni. Dal suo volto, però, non traspariva nulla. Sembrava che egli fosse altrove, perso in pensieri indecifrabili. 

Era un tipo taciturno e schivo. Alcuni lo descrivevano come abile artigiano, altri come uno scaltro ladro. Nessuno sapeva il suo nome o la sua storia. Una notte i cuccioli della Militanza, incuriositi da quella figura così stramba, frugarono nella sua sacca mentre dormiva. All’interno c’erano solo pochi spiccioli e un martello rudimentale. Sembrava che se lo fosse costruito da solo. E così infatti era stato, perché quel vagabondo era venuto qui anche per commerciare con i cittadini locali, ma questi popoli guerreggianti avevano dimostrato poco interesse per l'artigianato. E allora gli toccava costruirsi le cose da sé.

Mentre i gatti continuavano a reclutare nuove truppe, le creature del bosco ad organizzare sit-in di protesta e il procione a celare le sue intenzioni, il governo del comandante Aquila crollava. Il disonore si abbatté su di lui, perché aveva promesso di condurre una guerra ininterrotta ed invece il suo impeto era rallentato per un istante, più che altro perché tutti i nemici portata di tiro erano stati sconfitti. Nonostante il suo carisma, non riuscì a salvare le penne davanti al Consiglio dei Vysir. Venne deposto con effetto immediato e mandato in esilio. A discapito del nome, la dinastia alata non era affatto facile da uccellare; il consiglio istituì quindi un nuovo governo e questa volta scelse un uomo dell’esercito, con una grande esperienza in battaglia: il comandante Gufo.

Le nuove truppe dei gatti-soldato vennero inviate a sopprimere i rivoltosi dell’alleanza dei boschi, una sortita che si sarebbe rivelata fallimentare. Dopo aver corrotto le guardie poste all'accesso della radura - l’alleanza dei boschi aveva istituito delle nuove regole per quell’avamposto, una delle quali prevedeva il pagamento di un pedaggio per tutti gli uomini armati non iscritti al Partito Rivoluzionario - i gatti affrontarono le numerose forze ribelli in una battaglia che si rivelò, per loro, una totale carneficina. Neanche uno dei gatti si salvò; tra i ribelli, neanche uno cadde. Evidentemente il loro ingresso nella radura non era passato inosservato e la Militanza Boschiva Rivoluzionaria aveva preparato un'imboscata.

Un'altro contingente felino venne sorpreso in una seconda imboscata, stavolta da parte degli uccelli. Fu una battaglia sanguinosa da entrambe le parti, ma il comandante Gufo si dimostrò degno del suo grado. A dare il colpo di grazia all'umore dei gatti-soldato superstiti, il procione, che fino a quel momento era rimasto neutrale, saccheggiò gli accampamenti felini e rubò loro la maggior parte delle armi. Alcuni dissero che questa fosse la prova fondamentale del fatto che egli fosse sempre stato dalla parte del popolo. Altri dissero che era dalla parte della dinastia degli uccelli. La versione più stravagante esaltava il genio del vagabondo, teorizzando che egli avesse procurato ai gatti i materiali grezzi per fabbricare armi da usare in battaglia e avesse poi pedinato la divisione dell’esercito provvista delle suddette armi, aspettando nell’ombra il momento giusto per sottrargliele. Ciò che sappiamo di per certo è che, in seguito a tale furto, egli si addentrò nel folto del bosco e di lui non si seppe più nulla.

Se questa fosse stata una favola, i diversi popoli avrebbero trovato il mondo di mettere fine a questa guerra. L’alleanza dei boschi avrebbe avuto equamente voce in capitolo nelle decisioni dei gatti. Si sarebbe trovato un accordo fra l’avanzata del progresso e la conservazione delle aree verdi e della loro biodiversità. La dinastia degli uccelli sarebbe diventata più elastica e avrebbe imparato ad accettare di condividere il potere, accorgendosi che chi è diverso non necessariamente è anche un nemico.

Dal momento che si parla di animali, tuttavia, non ci si può aspettare da loro il saggio raziocinio che contraddistingue la razza umana.

Nonostante i gravi sabotaggi inferti ad essa, impossibile divenne, infatti, l’arresto della macchina capitalista della marchesa de Gattis, la quale, sfruttando la corruzione e rispondendo con una repressione sistematica al minimo accenno di ribellione, riuscì ad affermare il proprio controllo nelle radure controllate dai conigli. Perse dunque credibilità la Militanza Boschiva Rivoluzionaria, e venne anche dimostrata l'implausibilità delle aspirazioni dei nobili uccelli. Una volta sottomesso il nobile popolo dei conigli, anche i topi e le volpi furono costretti a chinare il capo davanti al potere della marchesa.

Il bosco divenne quindi un'enorme complesso industriale. Nelle radure vennero costruite fabbriche, che offrirono lavoro mal pagato ai cittadini locali, ormai incapaci di organizzarsi nuovamente in un sindacato in grado di proteggere i diritti dei lavoratori, dal momento che la Militanza era stata sciolta. Con l'industrializzazione arrivarono quindi l'alienazione e i centri commerciali.

Ma questa è un'altra storia.

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