Brief Border Wars. La guerra del calcio: la battaglia di Nacaome

Scenario: La guerra del calcio
Salvadoregna: Laura Beltrami
Honduregno: Alex Isabelle

Il conflitto che va sotto il fantomatico nome di "guerra del calcio" fu una guerra tra le più brevi della storia: durò complessivamente quattro giorni, eppure ciò bastò per lasciare sul campo di battaglia circa seimila morti, oltre metà dei quali civili.

A dispetto del nome, quindi, non si trattò di una semplice rissa tra gli hooligan di El Salvador e dell'Honduras, ma dell'esplosione di tensioni accumulate nel corso di parecchi anni e opportunisticamente alimentate da entrambi i governi. Da un lato, la politica xenofoba del dittatore honduregno Oswaldo López Arellano aveva orientato la rabbia popolare nella direzione degli immigrati, più o meno irregolari, che si erano trasferiti in Honduras per via della sovrappopolazione e dell'ingente tasso d'occupazione di El Salvador. Dall'altra parte, quest'ultimo paese stava andando incontro ad una serie di problemi di politica interna: la società era frammentata e infelice e avrebbe reagito positivamente ad una guerra dal sapore nazionalistico contro l'odiato vicino.

La situazione iniziale.

La scintilla che fece scoppiare la bomba furono i mondiali di calcio del 1970, che si disputarono in Messico. Le squadre si affrontarono due volte per determinare chi avrebbe avuto accesso ai playoff; entrambe le partite, giocate prima a Tegucigalpa e poi a San Salvador, furono segnate da una partecipazione degli ultrà locali estremamente violenta. Si rese necessaria una terza partita di spareggio, che si disputò in Messico, alla presenza di entrambe le tifoserie e di cinquemila poliziotti che non riuscirono a tenerle separate nel momento in cui, ai supplementari, El Salvador vinse 3 a 2. I tafferugli si trasformarono presto in una vera e propria guerriglia urbana. Il governo nazionalista dell'Honduras decise di non farsi mancare nulla e interruppe immediatamente gli accordi commerciali e le relazioni diplomatiche con El Salvador. Due settimane più tardi, l'esercito di quest'ultimo oltrepassò il confine.

Qui inizia la nostra simulazione. Era la nostra prima partita a Brief Border Wars e avevamo inizialmente sottovalutato l'importanza delle strade, il che ci ha fatto commettere una serie di errori significativi.

Metà dell'esercito di El Salvador è stato posizionato in un territorio privo di vie di comunicazione, scomodissimo per condurre un'invasione. L'altra metà, che restava nei paraggi, ha invece sconfinato immediatamente, raggiungendo la città di El Amatillo, difesa da una sola unità di fanteria che è stata subito eliminata. Non consapevole dell'invasione, l'Honduras aveva posizionato le sue poche truppe di confine presso le frontiere doganali tra i due paesi, lasciando una terza unità, un gruppo di polizia militare, tra le montagne che segnavano il confine.

L'amministrazione salvadoriana osserva
con disincanto gli svolgimenti bellici.

Il principale contingente di truppe dell'Honduras, proveniente dall'entroterra, si è diretto di gran carriera verso l'avanguardia di El Salvador, che nel frattempo si stava preparando a penetrare verso la città di Nacaome, più popolosa e quindi più utile per la dimostrazione di forza che El Salvador voleva mettere in atto.

Mentre nei restanti punti del confine le sparute truppe honduregne sconfinavano nei territori di El Salvador, aspirando a prendere il controllo delle vie di comunicazione, il grosso dei due eserciti ha invece avviato un'intensa guerriglia nelle strade di Nacaome, che ha visto l'utilizzo delle obsolete forze aeree di entrambi i paesi. Queste facevano uso anche di aerei civili, alcuni C-47 riconvertiti ad uso militare.

Già sul finire del primo giorno di combattimenti, dunque, Nacaome era divenuta un inferno di proiettili e bombe. Il secondo giorno ha visto la controffensiva honduregna avere progressivamente la meglio, anche se al netto di tante perdite, su un'avanguardia salvadoregna, la quale è riuscita lo stesso a mantenere un parziale controllo della città.

All'alba del terzo giorno è arrivata la richiesta di un cessate il fuoco da parte degli Stati Uniti e dell'Organizzazione degli Stati Americani. Tale organizzazione è stata presa seriamente da parte dell'Honduras, che ha deciso di interrompere la propria controffensive, auspicando che le truppe di El Salvador avrebbero fatto lo stesso. Al contrario, il governo di El Salvador ha ordinato di proseguire, puntando sul fatto che l'Honduras fosse diventato più vulnerabile. Altre truppe salvadoregne hanno sconfinato, partendo dalle montagne per dirigersi verso El Amatillo e poi a Nacaome, riprendendo gli scontri contro le ora disorganizzate truppe dell'Honduras.

La direzione centrale dell'esercito honduregno è subito sprofondata nel caos e solo una consistente prova di disciplina ha potuto ripristinare la funzionalità dell'aeronautica militare: dovendo mettere una toppa alla sua pressoché totale disorganizzazione, la Fuerza Aérea Hondureña è stata spedita a bombardare in massa l'aeroporto civile-militare El Salvador. Ciò ha colto alla sprovvista le forze salvadoregne, che si sono viste mettere diversi aerei fuori uso. Per il resto della giornata, quindi, l'esercito attaccante ha dovuto condurre le proprie operazioni senza supporto aereo, cosa che ha mitigato il loro impatto ed ha impedito che si riuscisse a prendere definitivamente il controllo della ormai devastata Nacaome.

Il bombardamento dell'aeroporto El Salvador,
ovvero l'aeroporto di San Salvador, capitale di El Salvador.

Nel corso della notte, intanto, la polizia militare honduregna ha raggiunto l'entroterra di El Salvador, prendendo il controllo di un'importante arteria stradale. Questa mossa, del tutto trascurata dall'esercito salvadoregno, ha lasciato senza rifornimenti le truppe ad El Amarillo e Nacaome, che ancora una volta non sono riuscite a dare il colpo di grazia all'esercito dell'Honduras.

Il quarto giorno lo scontro è proseguito più feroce che mai: nuove truppe sono arrivate da San Salvador, attaccando l'altro accesso doganale con l'Honduras, nei pressi di Ocotepeque, che è stata immediatamente occupata. La sparuta guardia di confine ha condotto una disorganizzata ritirata, che ha lasciato la libertà alle truppe di El Salvador di prendere presto il controllo anche della vicina città di La Labor; gli aggressori hanno proseguito occupando, nel giro di alcune ore, la del tutto indifesa Santa Rosa de Copán.

L'occupazione di Ocotepeque e La Labor.
Notare che sono tutti privi di accesso
ai rifornimenti.

Il conflitto stava cominciando ad esaurirsi. Alla sera del quarto giorno la truppa di confine che aveva inizialmente difeso Ocotepeque si è ricompattata ed è rientrata in città, rimettendone in discussione il controllo; al contempo anche ad El Amatillo giungeva un contingente honduregno proveniente dai territori più a nord. A causa di ciò gli scontri si sono riaccesi anche sul primissimo fronte.

All'alba del quinto e ultimo giorno, la politica internazionale ha fatto il suo corso: l'Organizzazione degli Stati Americani ha minacciato di pesanti sanzioni El Salvador, condannato come stato aggressore. La minaccia di ulteriori sanzioni anche all'Honduras, nel caso in cui non fosse cessata la propaganda anti-salvadoregna, ha prodotto l'effetto sperato. I due eserciti hanno terminato gli scontri e sono tornati ordinatamente nei propri ranghi.

Lo scopo di questa guerra per El Salvador era compiere una dimostrazione di forza, la quale tuttavia non ha ottenuto l'effetto sperato: soltanto due città (La Labor e Santa Rosa de Copán) sono cadute del tutto sotto il controllo delle truppe attaccanti; tutte le altre sono rimaste contese dai due schieramenti fino alla fine. Alfine, la campagna nazionalistica di cui questa guerra doveva essere il pezzo forte non ha avuto successo e ciò si è tradotto in una vittoria politica minore per l'Honduras.

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